Ci hanno lasciato a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro. “El Pibe de Oro” il 25 novembre 2020, mentre “Pablito Mundial” il 9 dicembre 2020. Erano spesso rivali sul rettangolo di gioco, agli antipodi dal punto di vista caratteriale e come giocatori, ma uniti dal destino che ce li ha portati via troppo presto. Maradona e Rossi sono stati campioni di un calcio che non c’è più. Idoli eterni di una generazione.

Totalmente opposti caratterialmente, dicevamo: Diego, sanguigno come ogni argentino che si rispetti, carattere istrionico, a tratti irriverente, ma sempre col sorriso sulle labbra. Rossi da buon uomo del nord, è sempre apparso tutto d’un pezzo, elegante e gentile.

Anche in campo erano diversi. “Dio del Calcio” il primo, tecnica e classe allo stato puro, mentre il senso del gol di Paolo ce lo ricordiamo tutti, soprattutto a Spagna 82.

Diversi anche nelle scelte: Diego fece gioire un popolo abituato alla sofferenza, come quello napoletano, e sin da subito diventò uno di loro. Rossi era il bomber della Juventus, il club più vincente in Italia a da sempre, tra i più forti d’Europa. Squadre agli antipodi e acerrime rivali, storicamente e calcisticamente.

Fuori dal campo, sulla vita di Diego Armando Maradona se ne sono viste e sentite di tutti i colori. I contatti con la Camorra, l’uso di droga, donne cambiate come un paio di scarpe e figli riconosciuti e non, che ancora oggi dopo la sua morte fanno discutere. Diego si esprimeva al meglio solo in campo. In campo era come se resettasse tutto e non correva il rischio di cadere in alcuna tentazione. In campo è come se spingeva “off”, spegneva le brutte abitudini e le brutte compagnie ed accendeva gli animi di tutti i tifosi appassionati di questo sporto. In campo Diego era arte.

Paolo Rossi fuori dal campo aveva una vita molto più regolare di Diego. Si sposò su consiglio di Boniperti “Paolo, se ti sposi è meglio, così sei più tranquillo”. Il consiglio dell’allora numero 1 bianconero non era casuale e fu subito accettato dal bomber azzurro. Non fu casuale dicevamo, e venne proprio nei giorni bui di Paolo, quelli della sentenza sul calcio-scommesse dove purtroppo anche il centravanti, fu invischiato. Rossi venne accusato d’aver concordato il pareggio dell’incontro Avellino-Perugia (quest’ultima essendo la sua squadra di allora), giocato il 30 dicembre 1979 e finito 2-2.  “Non sapevo nulla delle scommesse – esclamò Paolo Rossi – pensavo al classico pareggio accettato da due squadre che non vogliono farsi male. Seguii il processo come qualcosa di irreale, come se ci fosse un altro al posto mio. Capii che era tutto vero quando tornai a casa e vidi le facce dei miei”. Tornò a giocare il 29 aprile 1982, disputando solo le ultime tre partite di campionato con la Juventus. La Juventus lo coccolò, gli stette vicino e Bearzot nonostante i due anni di di squalifica lo convocò per Spagna ’82 e Paolo rispose sul campo, rispose con il titolo di capocannoniere e soprattutto con la Coppa del Mondo.

La squalifica per lo scandalo del calcio-scommesse fu l’unica macchia oscura, l’unico punto interrogativo, di una carriera limpida e vittoriosa. Paolo inizia la sua carriera da calciatore nelle giovanili del Santa Lucia, paesino a nord di Prato, sua città natale. Poi di seguito Ambrosiana e Cattolica Virtus, prima della grande chiamata, quella della Juventus. Prima nelle giovanili, poi va a “farsi le ossa” a Como. L’impatto non è dei migliori, non giocherà mai. L’anno dopo, nella stagione 76-77 passa al Lanerossi Vicenza e li incominciamo a intravedere l’istinto del gol, di quello che poi qualche anno dopo diventerà “Pablito Mundial”. In Veneto Paolo resta 3 stagioni e sigla 60 gol in 94 partite contribuendo alla storica promozione dei biancorossi nella massima serie. Prima di tornare alla Juventus, Paolo va un anno a Perugia (28 presenze e 13 gol). In bianconero in quattro anni vince una Coppa dei Campioni, una Cappa Super Coppa Uefa, una Coppa delle Coppe, due scudetti, ed una Coppa Italia. Una volta smesso con il calcio giocato, Paolo è stato opinionista sportivo a Mediaset e Sky.

Diego Armando Maradona invece, nasce a Lanus, vivrà a Villa Fiorito, periferia a sud di Buenos Aires. Cresce calcisticamente nell’Argentinos Juniors dove realizza in 166 partite, 116 gol. Non male per un numero 10. In Argentina si sa, se sei forte o vai al River o al Boca. Lui sceglie il Boca Juniors con cui nell’81 vince il campionato prima di approdare in Europa al Barcellona. Con i catalani Diego incanta si fa conoscere sempre più nel vecchio continente. Sigla comunque 22 gol in 36 partite vincendo una Coppa e Super Coppa Spagnola. In Spagna non si sente a casa, non si sente come si sentirà a Napoli, dove una terra, un popolo lo accoglieranno come un Re, come una Divinità fin dal primo giorno. A Napoli scrive la storia, sua e del club, vincendo due Scudetti, una Coppa Uefa, una Super Coppa Italiana ed una Coppa Italia. Nell’86 Diego diventa Campione del Mondo in Messico con la sua Argentina. Dopo Napoli, il declino del campione più forte di sempre. Declino che già iniziò per meglio dire a Napoli stesso, per via di quanto suddetto. Maradona nel 92 torna in Spagna, al Siviglia e lo score dice, 5 gol il 29 partite, non certo i numeri a cui “El Pibe de Oro” ci aveva abituato. Poi il ritorno in Argentina, prima al Newell’s Old Boys poi nel suo Boca, dove appende gli scarpini al chiodo nel 97.  Nel 2008 diventa commissario tecnico dell’Argentina. Maradona porta l’abiceleste ai Mondiali in Sud Africa nel 2010. Poi la carriera da girovago da allenatore, nei paesi arabi e Messico. Poi l’ultima sua squadra, il Gimmnasia La Plata, nella stagione 19-20.